Serata trionfale alla Fenice di Venezia per l’inaugurazione della stagione d’opera 2022/2023 che ha visto in scena Falstaff di Verdi con un cast degno dell’avvenimento, un teatro gremito ed una orchestra in gran forma.
Lo spettacolo affidato ad Adrian Noble si pone nel solco di una certa tradizione già vista ma che non dispiace e che cattura l’attenzione lasciando seguire lo spettacolo con chiarezza e senza particolari colpi di scena, poiché sono gli interpreti ed il libretto di Boito, dall’immenso Shakespeare, a far scorrere agevolmente gli eventi in una cornice molto gradevole. Il 'teatro nel teatro' è cosa ormai inflazionata, dunque Noble pur avvalendosi di questa tecnica sfrutta il genio del Bardo per portare in scena alcune caratteristiche delle sue opere. Il setting è ovviamente un tipico teatro elisabettiano, che potrebbe ricordare il più conosciuto Globe oppure il primo teatro pubblico chiamato proprio ‘The Theatre’, costruito grazie all’attore James Burbage. William qui dirige le prove del suo spettacolo distribuendo copioni ed elargendo consigli agli interpreti per poi ritirarsi presso la galleria e prendere altri spunti per continuare a scrivere. Fin qui tutto visto. Ma poi Noble sfrutta la tecnica del multi-plot per arricchire la vicenda. Il personaggio di Falstaff è in effetti presente sia in The merry Wives of Windsor che nel sub-plot del dramma storico Henry the Fourth; Shakespeare utilizzava queste storie parallele per offrire più punti di vista, per approfondire lo studio del carattere umano ed il suo agire, o magari per arricchire la vicenda con qualcosa talvolta di più leggero. In verità ci si poteva aspettare un accenno scenico alle opere succitate, per essere fedeli a questo intento, ma qui il riferimento è alla presenza delle fate, del magico ed etereo loro mondo e da ciò l’inserimento di A midsummer’s night dream, con tanto di cartelloni ad indicarlo per chi ovviamente non bazzichi tutti i giorni la letteratura inglese. Ne consegue un arricchimento anche visivo grazie al lavoro di Dick Bird, con i costumi di Clancy e le bellissime luci di Jean Kalman e Fabio Barettin. Giusti ed azzeccati anche i movimenti coreografici di Joanne Pearce. L’impressione generale è di uno spettacolo magari un po’ affollato, ma sicuramente gradevole e pertinente al libretto.