Torna a splendere di luce propria il “Mefistofele” di Boito, diamante della scapigliatura musicale e letteraria italiana, finalmente riabilitato nella partitura. Scevra dei tagli e delle “aggiustatine” che Toscanini “mani di forbice” (un giorno qualcuno scriverà dei danni inflitti da quest’uomo sulle partiture da lui “rimaneggiate” - Fanciulla del west e Turandot- solo per citarne alcune) approntò per la nuova edizione di Bologna nel 1875 dopo il clamoroso fiasco milanese. La versione proposta alla Fenice è quella che venne data al Teatro Rossini, sempre a Venezia, il 13 maggio del 1876 che ripristina alcuni interventi nella scena del “sabba romantico” e nella scena del carcere.
Nicola Luisotti, a capo di una disciplinatissima Orchestra della Fenice, toglie patina e croste ad una partitura che negli ultimi anni, cominciava a puzzare un poco di muffa, annichilita da una tradizione esecutiva ormai superata. Luisotti fa risplendere. nel colore e nelle agogiche scelte, mai banali o peggio grottesche, il Mefistofele attuale, cioè la seconda versione, dove Boito compie un intervento sul suo lavoro che ne oblitera ampiamente l'impegno culturalistico e lo trasforma quasi, ancora una volta, in un dramma d'amore in cui la figura di Margherita assume un rilievo addirittura centrale, tanto che a lei vengono affidati due nuovi pezzi: l'aria "spunta l'aurora pallida" nella scena del carcere e il duetto "Lontano lontano" recuperato dalla giovanile opera Ero e Leandro. Ecco che Mefistofele viene ad assumere qui a Venezia un taglio più tranquillamente in sintonia con il gusto corrente, anche se qualche elemento di interesse resta evidente forse più sul piano esecutivo che su quello drammatico, in cui un alto artigianato letterario non riesce a inventare un teatro originale. Luisotti quindi riesce a dirigere una partitura così monumentale e di così sfrontato edonismo orchestrale e vocale (oltre che lessicale), abilmente, raggiungendo un risultato senz’altro soddisfacente. A lui inoltre va il merito di aver eseguito perfettamente il celebre fischio che sta nella famosa aria di Mefistofele al primo atto.
Lo spettacolo è firmato per la regia da Moshe Leiser e Patrice Caurier e, tolta qualche fissità nel Prologo che mi è sembrato un poco banale e statico a dispetto dello spunto creativo, il duo francese centra l'obiettivo con un allestimento abbagliante, a tratti barbarico, sempre sopra le righe stemperato solamente da squarci quasi minimalisti nelle scene e nei costumi.
Allestimento sopra le righe quindi, e non poteva essere diversamente visto che si parla di demoni, sabba e lotta tra il divino e il demonio.
Faust viene ridotto ad un banale intellettuale “liberal” che ricorda molto Ned Flanders della serie cartoon dei Simpson. Un intellettuale che odia la festa goliardica dei tifosi di calcio nel primo atto ( si, non c’è la festa di Pasqua ma una furibonda partita a calcio) e preferisce starsene in disparte in mezzo alla baraonda, a leggersi il suo librino. Preda perfetta per Mefistofele che, con una bella siringa di eroina, lo trascina nel mondo psichedelico dei piaceri, per l’esattezza nel “sabba romantico” dove conoscerà l’amore di Margherita.
Non sarà nel “giardino di Marta” ma in un biergarten di seconda categoria, dove cavalcando un gigantesco maiale\giostra i due conoscono l’amore carnale.
Il “sabba infernale” si trasferisce in una fabbrica abbandonata, dove da una macchina industriale, viene fabbricato il mappamondo che non verrà scaraventato a terra da Mefistofele, ma esploderà in un fuoco divoratore. Nella scena del carcere si torna al biergarten del secondo atto ma in rovina, dove Margherita condannata a morte per aver ucciso madre e figlio, ottiene dai carcerieri un cellulare al quale potrà raccontare ad un misterioso personaggio, quello che ha combinato prima di essere mandata a morte.
Il top viene raggiunto nella scena del “sabba classico” dove le Coretidi e le Ninfe non rendono omaggio ad Elena di Troia, ma ad una primadonna del Teatro La Fenice che si scorge nella scena. Faust e Mefistofele, inizialmente seduti tra il pubblico, si svelano protagonisti della rappresentazione e seducendola, la trascinano verso il loro desiderio. L’Epilogo vede di nuovo Faust in versione Ned Flanders, che amareggiato per non aver concluso nulla nella sua nuova vita, torna tra i suoi amati libri nel suo loft minimal ed imbracciando un violoncello, sale al cielo redento, mentre Mefistofele, minacciando con una pistola il pubblico, viene sopraffatto dal coro al proscenio. Amen.
Spettacolo come si può capire completamente travolgente che obbliga cantanti e coro (meravigliosamente preparato da Alfonso Caiani) ad un impegno fisico ed attoriale impressionante ed encomiabile.
Alex Esposito è il deus ex machina perfetto dello spettacolo, un Mefistofele ampiamente credibile nel canto come sulla scena. Voce perfetta, proiezione impressionante, sillabazione superlativa, caricaturale ma mai ridicolo (anche se la parte lo è e in abbondanza). il suo Mefitofele verrà ricordato come un sornione un poco naif dal quale ci si può aspettare di tutto.
Perfetto “compagno di giochi” il Faust di Piero Pretti, che affronta e supera la micidiale parte di Faust con la consueta spavalderia vocale e il generoso fiume di voce che lo contraddistingue. da sempre.
Della Margherita di Maria Agresta si può dire tutto il bene possibile anche perché le sono affidate le poche parti “cantabili “ della partitura. Risolve con grande mestiere e salda tecnica i suoi brevi interventi. Elena extra lusso quella di Maria Teresa Leva, che a dispetto di una parte scomodissima, risolve il suo intervento con una perfezione tecnica veramente encomiabile, sfoderando facilità negli acuti e nei tremendi salti di ottava della sua parte.
Extra lusso anche il Wagner\Nereo di Enrico Casari. Il tenore veronese affronta la parte con il piglio del protagonista, sicuro nella perfetta emissione come nella recitazione.
Qualche problema per la Marta\Pantalis di Kamelia Kader non sempre musicalmente risolta nei suoi due ruoli.
Plauso speciale ai Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’alessio che affrontano le tremende sillabazioni del prologo, oltre che le asperità musicali, con sicurezza non indifferente.
Al termine uragano di applausi per tutti da parte di un pubblico entusiasta che ha affollato il Teatro La Fenice.
Pierluigi Guadagni
LA PRODUZIONE
“MEFISTOFELE”
Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo. Libretto e musica di Arrigo Boito, dal dramma in versi “Faust” di Johann Wolfgang von Goethe
Mefistofele ALEX ESPOSITO
Faust PIERO PRETTI
Margherita MARIA AGRESTA
Marta/Pantalis KAMELIA KADER
Elena MARIA TERESA LEVA
Wagner/Nereo ENRICO CASARI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del Coro Diana D’Alessio
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Scene Moshe Leiser
Costumi Agostino Cavalca
Light designer Christophe Forey
Video designer Étienne Guiol
Coreografia Beate Vollack
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice