“La Rondine di Puccini è un’opera kitsch!”.
Questo è quello che mi sono sentito dire da un amico musicologo recentemente sul lavoro pucciniano. Viene il dubbio che i critici, o il pubblico, non si siano mai chiesti se questo kitsch possa essere voluto proprio da Puccini. La tematica non è certo fra le più importanti affrontate dal compositore toscano: qui non si parla né di tubercolosi, né di morte prematura di bambini. E se invece dietro la scelta di un soggetto “leggero” si nascondesse in realtà un messaggio molto più profondo, se non una pesante critica alla propria società contemporanea?
La complessità del carattere della protagonista, da una parte rapita dagli eventi e incapace di prendere in mano il proprio destino, dall’altra sicura nelle proprie decisioni, rendono quest’opera di particolare interesse nel panorama professionale e umano di Puccini. Purtroppo La Rondine continua ad essere ignorata, tacciata di superficialità e banalità, è tuttora fra le opere meno eseguite del compositore toscano.
Innanzitutto la Rondine non è assolutamente un’operetta; era stata commissionata come operetta da parte di un teatro viennese in origine, ma mai vide la luce in questa veste e sarebbe ora che non venisse più etichettata come ‘operetta’, per poi dichiararla per assurdo anche mancata. Purtroppo succede ancora e l’opera viene inserita all’interno di una tradizione non propria, con la quale, per ovvi motivi non può (e non deve!) competere.
A Verona, la Fondazione Arena porta sul palcoscenico del Filarmonico una nuova produzione assieme al Coccia di Novara (dove debutterà a settembre) con la regia di Stefano Vizioli.
Profondo conoscitore del teatro musicale, Vizioli, con i bei fondali di Cristian Taraborrelli che riecheggiano romantiche ambientazioni Art Noveau - anche se forse non proprio sapientemente illuminate da Vincenzo Rapone – traspone tutta la vicenda ad inizio Novecento; ma il profluvio di mezze tinte anche negli abiti dei personaggi – di Angela Buscemi - ha prodotto una certa uniformità visiva che ha finito per appiattire un po’ la scena. Divertenti le invenzioni di Vizioli durante i tre atti tutte imperniate sulla spontaneità recitativa, e piene di garbato humour; evitando grazie a Dio, di far cadere i personaggi nella trappola dei soliti clichés, come nella pur scanzonata scena del Bal Bullier.
Vizioli ha avuto poi la fortuna di avere un cast di interpreti spigliati e disinvolti cominciando proprio dalla perfetta Magda di Mariangela Sicilia. Adeguatissima dal punto di vista scenico come pure da quello vocale, la voce del soprano calabrese è naturalmente fascinosa dalla vocalità calda e luminosa. Tutta l’esecuzione è stata estremamente convincente e calzante nello stile, con grande attenzione alla scrittura con filati molto belli e precisi nel racconto del sogno giovanile o nella malinconica dolcezza di «Ore dolci e divine».
Galeano Salas delinea alla perfezione la figura dell’impacciato provincialotto Ruggero, fatto di una vocalità imponente e sicura, dal timbro stentoreo spesso scurito, che pare non soffrire di limiti né in alto né in basso: con il rischio però – come nel finale – di cadere in un eccesso di retorica non proprio necessaria in un'opera “leggera” come questa.
la voce da tenore lirico leggero di Matteo Roma ha delineato un Prunier contraltare efficace al bronzo di Salas, così come la vocalità da soubrette della Lisette di Eleonora Bellocci è stata l’ideale contraltare di quella più piena della Sicilia.
Sia Matteo Roma che Eleonora Bellocci si sono rivelati brillanti attori e buoni cantanti nel complesso. Mai scenicamente banali, hanno ottimamente cantato le loro parti porgendo una lodevolissima interpretazione del duetto del primo atto, piena di umorismo e di colori, anche per l’encomiabile attenzione alle battute rese con sottile sagacia.
Tutta encomiabile infine la folta compagnia di comprimari, tutti indovinati, tra i quali è emerso il Rambaldo accigliato e signorile di Gezym Myshketa.
Azzeccatissime le furibonde coreografie del secondo atto ideate da Pierluigi Vanelli.
“La rondine” è partitura piena di finissimi umori, non proprio centellinati dalla ruvida concertazione di Alvise Casellati a capo dell’Orchestra e Coro (istruito da Roberto Gabbiani) della Fondazione Arena. Casellati, pur dirigendo con precisione, non esalta affatto quella leggerezza necessaria nell’accompagnare i cantanti, quella massima trasparenza nell’esaltare il lucido strumentale. Manca soprattutto la seducente vaporosità nello sciogliere i molteplici ballabili – non solo valzer, ma anche tango, one-step, fox-trot – profusi a pieni mani da Puccini in questa partitura estremamente inquieta e variegata. Ed è un peccato, perché l’orchestra veronese suona molto bene, ma non c'è stata la necessaria sollecitazione.
Applausi convinti per tutti al termine con punte di entusiasmo per Mariangela Sicilia.
Pierluigi Guadagni
LA PRODUZIONE E GLI INTERPRETI:
Direttore Alvise Casellati
Regia Stefano Vizioli
Scene Cristian Taraborrelli
Costumi Angela Buscemi
Luci Vincenzo Rapone
Coreografia Pierluigi Vanelli
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Maître de Ballet Gaetano Petrosino Bouy
Magda Mariangela Sicilia
Lisette Eleonora Bellocci
Ruggero Galeano Salas
Prunier Matteo Roma
Rambaldo Gëzim Myshketa
Yvette\Georgette Amélie Hois
Bianca\Lolette Sara Rossini
Suzy\Gabrielle Marta Pluda
Gobin\Adolfo Gillen Munguia
Perichaud\Rabonnier Renzo Ran
Crebillon\Maggiordomo Carlo Feola
con Yao Bohui, Anna Bordignon, Arianna Cimolin, Giuseppe Di Giacinto, Enrico Iviglia, Gianluca Moro, Nicola Pamio, Cecilia Rizzetto, Pierre Todorovitch, Francesco Tuppo
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Foto Ennevi
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