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LUCREZIA BORGIA, GAETANO DONIZETTI - TEATRO VERDI DI TRIESTE, VENERDI' 17 GENNAIO 2020

Sono i grandi traumi a renderci le persone che siamo.

Nello specifico, secondo la visione registica di Andrea Bernard, Lucrezia Borgia è diventata la donna che tutti conosciamo a causa della sua maternità rubata.

Il figlio perduto è la sua ossessione come dimostrano la culla onnipresente in scena, il latte materno che diventa l'antidoto al veleno e la morte trovata pugnalandosi i seni.

Il regista bolzanino porta avanti la sua idea fino in fondo, fa recitare tutti e, al netto di qualche eccesso nelle scene di gruppo, convince pienamente.

Le scene di Alberto Beltrame, arricchite dalle azzeccatissime luci di Marco Alba, sono essenziali, eleganti e soprattutto funzionali allo spettacolo, e non viceversa. Eleganti e atemporali i costumi di Elena Beccaro.

Il contributo decisivo al successo è quello della protagonista Carmela Remigio per cui era praticamente nata la produzione già andata in scena al Festival Donizetti e in seguito nel circuito emiliano.

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A HAND OF BRIDGE , SAMUEL BARBER/ IL CASTELLO DEL PRINCIPE BARBABLÙ, BÉLA BARTÓK – TEATRO LA FENICE DI VENEZIA, VENERDI’ 17 GENNAIO 2020

La Fenice di Venezia apre l'anno nuovo con un doppio appuntamento molto particolare che vede impegnato il regista Fabio Ceresa nel concepire due storie in cui la vita di coppia è tutt'altro che facile, tanto nel reale con Barber, per la prima parte, quanto nella favola truculenta con Bartók per la seconda parte. 'A hand of bridge' è uno scorcio di vita famigliare in cui nessuna delle due coppie protagoniste è realmente felice e nell'arco di questa mano di gioco i quattro giocatori si lasciano andare a fantasie che portano lontano la loro mente. La stanza da gioco è allestita con un tavolo lungo il quale sono disposte le coppie e davanti a cui si materializzano le rispettive fantasie. Per una composizione brevissima Ceresa non si è risparimato in costumi, opera di Giuseppe Palella, comparse e coreografie curate da Mattia Agatiello per un effetto visivo garbato ed attraente. I protagonisti hanno dato tutto il possibile nei brevissimi interventi a loro destinati. Annunciato  indisposto, Gidon Saks ha in un certo modo assecondato la sua voce per esprimere un personaggio estremamente sofferente; il suo David recita più che cantare e le sue visioni immerso nei soldi e nel desiderio di una vita diversa dall'attuale sono sottolineati da un canto nervoso se non nevrotico; così la consorte di mezza età interpretata da Ausrine Stundyte è una donna tormentata dai fantasmi del passato e dal suo rapporto difficile con la madre; chiaro che anche per lei esprimersi con foga e sofferenza, anche grazie al timbro robusto che possiede, è stata la cifra interpretativa del ruolo di Geraldine. Più particolare e magari affine al pubblico la coppia Sally/ Billy. Lui uomo gelosissimo dell'amante con allucinazioni rosate che esprimono un desiderio di dolcezza evidentemente inappagato, lei del tutto presa dal meraviglioso cappellino visto in una vetrina. Tanto la Sally di  Manuela Custer è esplicitamente civettuola e frivola, in certi vezzi vocali che si concede, tanto il 'suo' compagno Billy,  Christopher Lemmings, è visionario e quasi ridicolo nei desideri maschili piuttosto scontati, con una voce che ne sottolinea le intenzioni.  E come fossimo entrati in una stanza sbirciando dalla finestra ne usciamo all'improvviso con le luci che si estinguono pian piano, tutte calibrate su toni del grigio, come la vita delle due coppie, del rosa dei sogni e del bianco e nero.

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INAUGURAZIONE STAGIONE SINFONICA FONDAZIONE ARENA DI VERONA – CONCERTO DEDICATO A MOZART CON ALEXANDER LONQUICH, VENERDÌ 10 GENNAIO 2020

La stagione sinfonica della Fondazione Arena di Verona apre ufficialmente le porte al  nuovo anno nell’ambito degli eventi dedicati a Wolfgang Amadeus Mozart ed alla sua visita ufficiale a Verona avvenuta esattamente duecentocinquanta anni fa. Protagonista del concerto al Teatro Filarmonico cittadino sono stati l’Orchestra della Fondazione Arena ed il Maestro Alexander Lonquich in veste di pianista e direttore.

Non è facile scegliere come omaggiare il compositore austriaco considerando le innumerevoli esecuzioni in suo onore e la grande famigliarità con le sue opere. Per questa occasione il programma ha previsto comunque dei pezzi conosciuti ed apprezzati dal grande pubblico, eseguiti però con il tocco personale del direttore: la ‘Ouverture’, da Le nozze di Figaro, il  ‘Concerto per pianoforte e orchestra n. 27 in si bemolle maggiore K 595’ e la ‘Sinfonia n. 41 in do maggiore “Jupiter” K 551’.

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DON GIOVANNI, W. A. MOZART – TEATRO VERDI DI PADOVA, DOMENICA 29 DICEMBRE 2019

La stagione lirica padovana mette sul piatto conclusivo l’opera più nota della trilogia dapontiana, il Don Giovanni, che per significati profondi ed in continua evoluzione interpretativa, per drammaticità dell’azione e per implicazioni psicologiche, è forse quella che ha bisogno di maggiore approfondimento e coraggio per essere portata in scena. Ed il Teatro Stabile del Veneto compie questa coraggiosa operazione in collaborazione con il Teatro Sociale di Rovigo, affidando la concezione dello spettacolo a Paolo Giani Cei che per l’occasione si occupa anche di scene e costumi, il che rende unicità agli intenti ed al modo di rappresentarli.

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G. PUCCINI, MADAMA BUTTERFLY - TEATRO FILARMONICO DI VERONA, REPLICA DEL 17 E 22 DICEMBRE 2019

Torna sulle tavole del Teatro Filarmonico, a conclusione della rassegna autunnale  “Viaggio in Italia” ideata dalla Fondazione Arena di Verona, Madama Butterfly titolo tra i più rappresentati del compositore lucchese e dell’intera antologia operistica.

Luogo ideale per la sua rappresentazione, a differenza del vasto e dispersivo palcoscenico areniano, il teatro Filarmonico diventa cornice ottimale per una giusta fruizione di un lavoro che richiede spazi intimissimi e ben circoscritti per una tragedia che vuole “grande dolore in piccole anime” come scrisse lo stesso Puccini.

Lo stesso Puccini, quando vide la commedia  di David Belasco a Londra  e gli chiese l’autorizzazione a trarne un’opera, capì ben poco dei versi in prosa inglese ma rimase colpito quasi esclusivamente dall’atmosfera e dalla dimensione giapponese, che poi tradusse in musica non dando qualche pennellata di esotismo qua e là, ma chiudendo tutta l’opera in un cerchio sottile di stilizzata e nervosa ambientazione armonica.

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TURANDOT, GIACOMO PUCCINI - TEATRO VERDI DI TRIESTE, sabato 7 dicembre 2019

Per inaugurare questa nuova stagione, il Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha scelto di fare le cose in grande, mettendo in cartellone ben due titoli che si alternavano: Aida e Turandot.

Purtroppo non è stato possibile assistere ad entrambi, ma solo a una delle ultime recite di Turandot, la cui regia, come nel caso di Aida, è stata affidata alla coppia Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi. Vista la grande affluenza di pubblico mi è stato riservato un posto a scarsa visibilità, quindi posso riferire solo in modo limitato per quando riguarda la parte scenica; inoltre la posizione sopra la buca ha sicuramente sfalsato la mia percezione rispetto a una posizione più favorevole.

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DON CARLO, GIUSEPPE VERDI – TEATRO LA FENICE DI VENEZIA, DOMENICA 24 NOVEMBRE 2019

È un allestimento firmato Opéra national du Rhin Strasbourg  e Aalto-Theater Essen quella del Don Carlo della rinascita, del duro lavoro di ripristino e quindi dell’apertura di stagione d’Opera a Venezia, dopo i disastri causati dalla marea eccezionale delle settimane passate. È stato un visibilmente commosso Sindaco Luigi Brugnaro a salutare il Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, presente in sala in rappresentanza delle Istituzioni, il pubblico di turisti ed appassionati e naturalmente tutti coloro che si sono impegnati affinché ancora una volta la città lagunare potesse ripartire e restituire non solo pian piano la normalità alla vita quotidiana, ma anche rendere possibile rituffarsi nella bellezza del teatro La Fenice e della musica che in essa viene prodotta.

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L' ANGE DE NISIDA, GAETANO DONIZETTI - TEATRO DONIZETTI DI BERGAMO, SABATO 16 NOVEMBRE 2019

470 Pagine. Da qui è partita Candida Mantica per ricostruire la partitura di 'Ange de Nisida', opera creduta perduta di Gaetano Donizetti e andata in scena durante il Festival Donizetti Opera 2019.

È il 2008 quando la musicologa italiana vince un dottorato di ricerca alla University of Southampton e inizia a ricomporre le tessere del puzzle. Attraverso lo studio della partitura autografa conservata presso la Bibliothèque National de Paris, la bozza del libretto originale e il manoscritto de La Favorite riesce a trascrivere la bozza di lavoro del libretto, ricostruire l’ordine della partitura ed editare tutte le sezioni non confluite successivamente ne La Favorite. Infine nel 2016, grazie alla commissione di Opera Rara, realizza la partitura completa poi incisa sotto la guida di Sir Mark Edler.

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L' ELISIR D’AMORE, GAETANO DONIZETTI – TEATRO FILARMONICO DI VERONA, DOMENICA 17 NOVEMBRE 2019

Benvenuti ad Hazzard! Chi è appassionato di telefilm anni Settanta/Ottanta non può non ricordare le avventure di Bo e Luke che scorazzavano in giro per l’immaginaria contea statunitense con la mitica auto Dodge Charger e la compagnia dell’adorabile e procace cugina Daisy, il cattivo e viscido ‘Boss’ e lo sceriffo Rosco. Ebbene la versione dell’Elisir proposta da Pier Francesco Maestrini grazie alle scene di Juan Guillermo Nova ci ricorda uno scenario similare e molto caratteristico, con i cartelloni pubblicitari enormi, i campi di pannocchie sullo sfondo con tanto di spaventapasseri, l’accenno alla storica Route 66, le fanciulle in pantaloncini e cappelloni da cowgirl, insomma tutto ciò che ricorda gli Stati Uniti come vengono concepiti soprattutto nelle fiction. Ne nasce un allestimento veramente esagerato e pieno, anzi pienissimo, di luoghi comuni non sempre fondamentali, ove talvolta si fa persino fatica a focalizzare l’attenzione sui cantanti. Adina possiede una stazione di servizio in cui si serve uno squisito ‘Road Food’, con piatto forte naturalmente il pollo fritto, come recita l’insegna che la vede proprio in groppa ad un gallo. È una ragazza volitiva, furbissima e che sa il fatto suo mostrando solo a tratti il suo animo sensibile. Non ci sono i cugini scatenati della serie TV perché qui il protagonista è un povero e sottostimato Nemorino, un ‘pollo’ sensibile e credulone, vestito da gallinaccio proprio come si usa spesso nei locali di questo genere per attirare i clienti. Le donzelle al seguito di Adina sono alquanto generose col sesso opposto, e non mancano qua e là personaggi aggiuntivi dai costumi più fantasiosi ad impersonare indiani, militari e chi più ne ha ne metta per essere sicuri di non aver dimenticato niente di tipico. Ovvio che i costumi di Luca Dall’Alpi siano in linea con l’ambientazione.

Ciò non toglie che lo spettacolo diverta poiché pieno di siparietti esilaranti e situazioni estremamente buffe che hanno richiesto doti attoriali particolarmente significative agli interpreti; dunque largo a birra e patate fritte e baldoria a tutto spiano!

Il cast è stato eccellente nel servire il regista in tutto ciò che ha richiesto questo spettacolo molto dinamico e su tutti trionfa il Nemorino di Francesco Demuro. Con spirito da grande professionista il tenore impersona il poveretto beffato continuamente con tutto se stesso, fermo restando una dignità di fondo dettata dal nobile sentimento per l’amata, forte di una voce musicalissima ed un fraseggio pulitissimo. Climax raggiunto con ‘Una furtiva lagrima’ perché eseguita con trasporto e sincera melanconia, di cui il pubblico ha richiesto il bis; accortosi che qualcosa non funzionava con l’orchestra il coraggioso tenore ha chiesto tra gli applausi generali di ripartire e la magia si è ripetuta. Spigliata, fresca e generosa come Daisy del telefilm è Laura Giordano nei panni di una Adina tutto pepe a sensualità dalla voce uniforme e precisa.  Perfettamente odioso è il Belcore di Qianming Dou, qui un militare inflessibile per il quale sono state aggiunte battute atte a mettere in scena gli allenamenti con i suoi soldati in tuta mimetica. Il ‘Boss Hogg’ della situazione, Dulcamara, arriva in una rombante cabrio vestito appunto in completo bianco e dalla taglia forte, impersonato dal divertentissimo Salvatore Salvaggio, animale da palcoscenico dal piglio burlesco e con una voce adatta al ruolo buffo. Molto bene anche la Giannetta di Elisabetta Zizzo, innamorata non corrisposta da Belcore e pertanto alquanto aperta a nuovi ‘incontri’ militareschi.

Il coro preparato da Matteo Valbusa ha preso parte con simpatia a tutte le situazioni burlesche ideate da Maestrini.

Alla guida dell’orchestra della Fondazione Arena era il Maestro Ola Rudner. Sebbene i volumi siano stati rispettosi delle voci, abbiamo avvertito parecchi scollamenti tra buca ed interpreti che hanno faticato non poco a tenere i ritmi, talvolta ammorbiditi, dell’orchestra. Tanto il coro che i protagonisti ci sono sembrati un tantino a disagio nel seguire i tempi giusti e dunque a tenere la concentrazione alta, considerando anche il tipo di spettacolo molto impegnativo.  

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PIETRO IL GRANDE, KZAR DELLE RUSSIE, GAETANO DONIZETTI – TEATRO SOCIALE DI BERGAMO PER IL FESTIVAL DONIZETTI, 15 NOVEMBRE 2019

Dopo duecento anni dal suo concepimento per il defunto teatro San Samuele di Venezia, il Festival Donizetti porta al Sociale di Bergamo Pietro il Grande, melodramma giocoso del Donizetti ventiduenne, nell’ambito del progetto di riscoprire e riportare alla luce opere che raggiungono questo importante traguardo bisecolare, per dare la possibilità di apprezzare composizioni rare se non addirittura mai eseguite o dimenticate.

Progetto encomiabile per un Festival dedicato e che permette certo di apprezzare il catalogo del compositore bergamasco in maniera sempre più completa. Non possiamo comunque dire che si tratti di un’opera indimenticabile: se pur gradevolissima, nelle sue quasi tre ore complessive di spettacolo a tratti appare lenta e talvolta ripetitiva, come se il compositore avesse volutamente continuato ad aggiungere scene similari per arricchirne il contenuto, un po’ forzatamente. Le arie sono intense e ricche di tranelli tecnici, quindi doppio plauso agli interpreti che hanno svolto un lavoro encomiabile, tanto per la memorizzazione delle parti quanto per l’esecuzione delle stesse. È un lavoro giovanile dove le influenze del grande Rossini sono palpabili e dove comunque già si intravedono leitmotiv delle opere buffe della maturità. In più di una occasione si ha la sensazione di trovarsi in un ambiente sonoro famigliare che comunque rende assai fruibile l’intera composizione.

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LA TRAVIATA, GIUSEPPE VERDI - TEATRO LA FENICE DI VENEZIA,
RECITA DEL 31 OTTOBRE 2019

Presenza costante, quasi fissa, nel cartellone del Teatro La Fenice, questa produzione di Traviata, che inaugurò nel lontano 2004 la rinascita artistica del Teatro veneziano dopo lo spaventoso incendio che lo distrusse nel 1996, ne è con gli anni diventata il simbolo, il feticcio di un teatro che orgogliosamente riesce a fare di uno spettacolo un vero “money maker” di altissima qualità.

Lo spettacolo di Robert Carsen, nella sua attualizzazione tagliente, riesce a piacere ad ogni tipologia di pubblico che riempie la Fenice ad ogni recita, dal turista coreano in cerca di selfie al melomane veneziano di razza, passando per il magnate russo che si addormenta al preludio fino al giapponese impettito nel suo kimono inamidato, proprio per quella sua capacità di raccontare la storia di una prostituta senza cadere nella banalizzazione di una tradizione abominevole ma nemmeno nella sfrontatezza di uno stravolgimento insensato.

Carsen intuisce meravigliosamente che con La Traviata il discorso verdiano diventa cronaca contemporanea e teatro da camera. C’è una protagonista assoluta, una “divina” che è creatura femminile che Verdi non ripeterà più in maniera così imperativa, un personaggio che è una individualità, che potrebbe scendere dal palcoscenico e abitare nel mondo tutta intera com’è, senza alcuna necessità di adattamento, Violetta Valery illumina la vicenda.

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L'ELISIR D’AMORE, GAETANO DONIZETTI - TEATRO REAL DI MADRID, MERCOLEDI' 30 OTTOBRE 2019

Ritorna sulle tavole del Teatro Real di Madrid, dopo aver girato tra Valencia, Graz, Palermo e Macerata, l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti nel fortunatissimo allestimento di Damiano Michieletto che vide il battesimo proprio in questo teatro nel 2013. Allestimento che attualizza il melodramma giocoso di Felice Romani, trasformando la commedia paesana, agreste del villaggio nel paese dei Baschi in una farsa “da spiaggia” nazional popolare, dove le vicissitudini di Nemorino e Adina prendono forma nel bagnasciuga di uno stabilimento balneare, caotico e ipercolorato, tra una bibita rinfrescante, una lezione di acqua gym, docce e scherzi acquatici per tutti.

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DAS PARADIES UND DIE PERI, ROBERT SCHUMANN - TEATRO MASSIMO PALERMO, MARTEDI’ 29 OTTOBRE 2019

Chiariamo subito una cosa, Das Paradies und die Peri di Robert Schumann è un oratorio profano scritto dall’Autore per una sala da concerto,  quindi per essere eseguito in forma oratoriale senza nessun ausilio di scene o costumi, tanto meno di una regia che ne suggerisca idee e situazioni spazio temporali. Musica che è stata creata perché indichi lei stessa la giusta direzione e lasci libero spazio alla fantasia individuale dell’ascoltatore. Un “nuovo genere adatto alla sala da concerto” - come sosteneva Schumann stesso.

In Schumann la spinta a musicare il poema di Moore da cui è tratta la vicenda della Peri, dovette venire dalla possibilità che esso offriva, con la sua staticità e con una regolare successione di brani affidati ai protagonisti,  di fare largo uso del Lied.

Infatti Schumann affronta con questo oratorio, per la prima volta il genere sinfonico - corale, vivendo ancora nel pieno della sua stagione liederistica (era il 1841). Ecco quindi che in un succedersi di episodi staccati, prevalentemente recitativi, pezzi corali e Lieder, Schumann realizza una consistente unità stilistica affidandosi ad alcuni temi ricorrenti e ad una ambientazione sonora che si potrebbe definire orientale, ma che è più giusto riferirla a quell’ inquieto fantasticare che caratterizza il miglior Schumann pianistico. Il risultato è un trasognare velato, fatto di una morbidezza musicale sensuale di altissimo livello che raggiunge momenti di autentica e raffinatissima bellezza. E proprio per questo trasognare continuo, mettere in scena una partitura del genere potrebbe risultare un azzardo inconcepibile, inutile e forse fastidioso.

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TURANDOT, GIACOMO PUCCINI - TEATRO VERDI DI PADOVA, VENERDI' 25 OTTOBRE 2019

L'Incompiuta di Puccini è destinata a lasciare per sempre un po' di amaro in bocca.

Tutti conoscono la sua genesi travagliata, la celebre storia di Toscanini che interrompe l’esecuzione della prima rappresentazione nel punto in cui il maestro aveva arrestato la composizione e i diversi tentativi di creare un finale. Ovviamente gli appunti rimasti non ci regaleranno mai il finale che l’autore aveva in mente, ma nemmeno sapremo mai come egli avrebbe messo mano alla partitura - perché certamente lo avrebbe fatto - per rivedere quel punto, smussare questo quadro e ricercare quella 'speditezza scenica' che gli premeva (e che forse qua e là manca). Quest’ultima è certamente la caratteristica, e il merito, fondamentale della Turandot concepita da Filippo Tonon che è stata riproposta al Teatro Verdi di Padova. La scenografia ricrea un’ambientazione esotica in cui l’azione è scandita grazie all’utilizzo di strutture scorrevoli che mutano agilmente la scena da fredda, cupa e notturna a opulenta tutta ori, argenti e sbrilluccichii. Un allestimento di stampo tradizionale in cui abbondano comparse e tutto quel compendio di effetti che colpiscono e sono tanto amati dallo spettatore medio. Il regista muove con pertinenza le masse, mentre il lavoro sui singoli cantanti pare limitato al minimo indispensabile.

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IL MATRIMONIO SEGRETO, DOMENICO CIMAROSA - TEATRO FILARMONICO DI VERONA, DOMENICA 27 OTTOBRE 2019

Proviene dal Teatro Coccia di Novara e precisamente dall’anno 2012 lo spettacolo de 'Il Matrimonio Segreto' che in questi giorni è in scena al Teatro Filarmonico di Verona per la rassegna invernale ‘Viaggio in Italia nel tempo e negli stili’, una sorta di anteprima della stagione artistica vera e propria che partirà da gennaio. Grazie a Cimarosa il teatro piemontese diede fiducia a  Marco Castoldi come regista, che i più conoscono con il nome d’arte Morgan, il quale aveva pensato ad uno spettacolo in grado di esaltare il brio degli intrecci e scompigli creati nella famiglia del ricco mercante Geronimo, che neanche a dirlo e come accade spesso nei drammi giocosi, vuole maritare una delle sue figlie per puro interesse economico. Tanto per cambiare i piani sembrano scombinarsi in un crescendo di malintesi e battibecchi che conducono man mano all’inevitabile lieto fine, con gioia e gaudio di tutti i protagonisti. Castoldi ha una visione assolutamente attuale della vicenda, sia perché, ammettiamolo, anche se in altri termini certi giochi di interesse sono validi anche oggi, sia proprio per la freschezza della musica dinamica e vivace che esalta quanto i personaggi vivono e sono lasciati liberi di muoversi ed agire come meglio credono, coadiuvati da una serie di mimi che spesso fanno da sfondo alle loro azioni. Diversamente quando lasciati soli, ad esempio durante talune arie solistiche, poco accade intorno agli stessi e l’attenzione tende a scemare.

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LA FAVOLA D'ORFEO, CLAUDIO MONTEVERDI – TEATRO OLIMPICO DI VICENZA, LUNEDI’ 21 OTTOBRE 2019

Ricostruzione del concetto originale del libretto, musica della scena finale composta da Iván Fischer

Seconda edizione del Vicenza Opera Festival, un appuntamento voluto fortemente dal Maestro Iván Fischer, che porta la sua squadra in campo nella cornice più bella della città di Vicenza per il secondo anno consecutivo, dopo il grande successo del Falstaff di Giuseppe Verdi.

L’ Orfeo di cui cura anche la regia vuole essere un ritorno alle origini, e paradossalmente per gli spettatori ciò costituisce la scoperta di un nuovo capitolo relativo al capolavoro di Monteverdi. Come dichiara proprio Fischer l’intento è di riportare in scena quanto pare fu cancellato dallo stesso autore nel finale scritto da Alessandro Striggio, perché più fruibile dal gusto dell’epoca. È dunque proprio questo l’elemento di maggior interesse nello spettacolo messo in scena all’Olimpico: non più Apollo che porta in trionfo in cielo il disperato Orfeo rimasto di nuovo senza la sua Euridice, ma un esercito di Baccanti che lo avvolge per farne strage inneggiando al dio Bacco. In realtà in scena Orfeo fugge via alla vista delle donne inferocite, ma si presuppone che trovi la sua punizione ‘divina’ in ogni caso, per aver dichiarato che alcuna donna potrà mai più catturare il suo cuore

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I DUE FOSCARI, GIUSEPPE VERDI – TEATRO REGIO DI PARMA PER IL FESTIVAL VERDI , GIOVEDI’ 17 OTTOBRE 2019

E’ a Leo Muscato che il Regio di Parma affida la regia del dramma che vede coinvolta la storica famiglia veneziana dei Foscari, ispirato a quanto scritto precedentemente da Lord Byron, che come è noto amava particolarmente la penisola italiana e le sue storie. Nel pensare un allestimento per questa opera ove la passione è protagonista a tuttotondo, privatamente, socialmente e politicamente, il regista voleva cercare un compromesso tra l’epoca originale del libretto, il Quindicesimo secolo dei dogi veneziani, e l’epoca di Giuseppe Verdi, che secondo lui avrebbe reso l’intera storia più vicina allo spettatore e quindi più fruibile. Il risultato però è alquanto anonimo a nostro avviso. Se è vero che il protagonista Jacopo ha tutti i tratti dell’eroe romantico per cuore ed emozioni, è anche vero che difficilmente tanta passione manchi agli eroi di qualsiasi epoca, inoltre questo spostamento in avanti nel tempo risulta piuttosto vago e semplicemente accennato da pochi dettagli, poiché secondo Muscato il pubblico deve essere libero di immaginare ciò che la musica suggerisce con la sua irruenza e forza narrativa, il che non è una scelta innovativa. Le scene ideate da Andrea Belli pertanto sono estremamente essenziali, la cui unica struttura a semicerchio si limita praticamente a circondare gli interpreti, senza illuminare particolarmente chi osserva. Non abbiamo compreso ahinoi lo spettacolino da circo in luogo della regata storica nel terzo atto, inoltre i costumi di Silvia Aymonino che dovrebbero caratterizzare ancor più l’epoca non colpiscono particolarmente per bellezza. Dal punto di vista drammaturgico ci è parso che gli interpreti fossero lasciati troppo a se stessi, portandosi quasi sempre fronte platea come in un concerto, quasi immortalati in un ruolo che li sfiora senza entrare definitivamente nelle loro corde, ed in un’opera come questa si perde il suo principale elemento: il pathos.

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LA BOHÈME, GIACOMO PUCCINI – TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI DI MODENA, DOMENICA 13 OTTOBRE 2019

Sarà forse per via delle celebrazioni in onore dell’ indimenticato Luciano Pavarotti, la cui statua troneggia fuori al Teatro Comunale modenese, magari perché Leo Nucci ha vissuto tante notti magiche a fianco del grande tenore sui palcoscenici di mezzo mondo; fatto sta che questa produzione firmata nella regia dal baritono che ama particolarmente la città emiliana, ove peraltro due anni fa ha celebrato i suoi cinquant’anni di carriera, ha il sapore dei sentimenti sinceri e della purezza d’animo che non scoraggia i giovani bohémien più noti della lirica, pronti ad affrontare la vita con la stessa serenità di chi non ha problemi economici, perché uniti da una grande amicizia che li sostiene a vicenda.

Con questo spettacolo Modena si è resa protagonista di un progetto a nome ‘Modena città del Belcanto’, ossia un ciclo di opere liriche portate in scena proprio nell’ordine in cui Pavarotti le debuttò nella sua lunga e prestigiosa carriera. Nucci in veste di regista propone una Bohème in cui tutto ciò che si svolge ha un significato specifico, incredibilmente ‘umano’, ove ci si potrebbe immergere senza problemi, come ognuno di noi fosse nei panni dei protagonisti. Questo grazie anche ai bellissimi costumi di Artemio Cabassi, che caratterizzano in certo modo i diversi ruoli anche visivamente, nonché alle scene di Carlo Centolavigna, studiate nei minimi dettagli, non solo per la loro funzione scenica, ma anche per così dire ‘riempire’ la visuale dello spettatore che, al di fuori dell’azione momentanea, può spaziare con lo sguardo e trovare sempre qualcosa da ammirare, in ogni angolo del palco. La soffitta con i tetti illuminati dietro il finestrone, le perfette luci di Claudio Schmid, la neve immancabile per affascinare, l’albero di Natale in piazza vicino al caffè de Momus, tutto come a richiamare i quadri dell’Ottocento francese; insomma anche se non possiamo ovviamente definirlo uno spettacolo originalissimo, è quanto di più vicino all’idea del vissuto quotidiano di quei ragazzi dalle vite senza tempo.

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GUGLIELMO TELL, GIOACHINO ROSSINI – TEATRO GRANDE DI BRESCIA, VENERDI’ 11 OTTOBRE 2019

Il Guglielmo Tell prodotto da OperaLombardia approda al Grande di Brescia nell’allestimento ideato da  Arnaud Bernard, con scene di Virgile Koering, per il quale si è scelto di eseguire la versione in lingua italiana, senza danze e con tagli alla partitura che fanno del Grand Opéra francese solo un vago ricordo.   Il regista si è posto il consueto problema di portare su di un palcoscenico non gigantesco, ma nemmeno in verità da teatrino parrocchiale, il mastodontico racconto dell’eroe svizzero in lotta contro gli austriaci tra i monti impervi, tempeste e campi di battaglia. Per questa produzione Bernard ha pensato che fosse opportuno lasciar perdere una ambientazione realistica, avvalendosi per esempio degli ormai inflazionati schermi, fondali dipinti o velari, per portare alla mente degli spettatori ciò che il libretto tanto maestosamente richiama, cercando una soluzione funzionale ad uno spazio chiuso e limitato. Ciò che la sua mente ha partorito è la ‘visione’ di un fantomatico bambino di buona famiglia ed amante della lettura che, intento a leggere la ‘favola’ di Guglielmo Tell, faccia rivivere tutta la vicenda nella sua mente e quindi in un certo modo ‘riduca’ ad un semplice sogno tutta la storia, immaginata al chiuso della sua casa e tra una cena e l’altra della sua austera famigliola borghese.

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LUISA MILLER, GIUSEPPE VERDI – CHIESA DI SAN FRANCESCO DEL PRATO PER IL FESTIVAL VERDI DI PARMA, SABATO 6 OTTOBRE 2019

Continua il percorso del Festival Verdi di Parma, volto alla ricerca di nuovi spazi nei quali valorizzare le opere del Maestro delle Roncole. Dopo la prova maiuscola dello Stiffelio e de Le Trouvère al teatro Farnese, quest'anno si è tentata la via della chiesa (sconsacrata, e già carcere per secoli) di San Francesco del Prato. Struttura immensa ancora in restauro internamente, presenta non poche problematiche di acustica e visibilità, oltre a limitare le intenzioni sceniche e registiche in uno spazio ristretto e disagevole come l'abside.

O meglio: le idee porterebbero essere moltissime, ma tutte dovrebbero essere quantomeno di rottura con un concetto di teatro d'opera tradizionale, che prevede un palcoscenico dove si svolge l'azione, la buca dell'orchestra e il pubblico seduto di fronte. Ci ha provato due anni fa Graham Vick appunto con Stiffelio riuscendoci meravigliosamente bene. L'esperimento non è riuscito altrettanto bene quest'anno.

A gestire i luoghi di San Francesco del Prato per l'allestimento di Luisa Miller, il Festival Verdi ha chiamato la coppia Dodin, formata da Lev (regia) e Dina (drammaturgia).

Gli artisti russi imbastiscono un allestimento che racchiude l'azione del Cammarano all'interno di uno spazio dove gli unici elementi di scena sono delle tavole, componibili o scomponibili a seconda della bisogna, sulle quali si consuma la tragedia di Luisa. Tragedia evocata come liturgia, rappresentazione sacra, dove il coro in lugubre saio grigio ha occupato perennemente i tre piani della struttura in legno che correva intorno alla scena lignea ideata da Aleksandr Borovskij , autore anche dei costumi rinascimentali, testimone visivo e impotente degli eventi.

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