“Il Campiello”, «la più veneziana di tutte le opere di Wolf-Ferrari» è un altare devozionale alla vecchia Venezia di Goldoni; una mimesi antiquaria di secondo grado destinata al successo in virtù della sua amabile innocuità in un’epoca di totalitarismi politici.
La grandezza di Wolf Ferrari risiede, a nostro avviso, tutta nella grande abilità di manovra del contrappunto di ben 10 personaggi godibilmente stemperato tra le “ciaccole”. Si pensi alla azzeccata macchiettistica resa dalle due vedove donna Pasqua e donna Cate affidate a due voci da tenore.
Muovendo dalla classicità italiana e dall'esempio massimo del Falstaff, Wolf Ferrari ha saputo configurare un valido tipo di commedia musicale moderna, in cui il discorso melodrammatico è rapido, duttile ed estremamente funzionale, animando la propria invenzione apparentemente accademica con una spigliatezza, un brio e un senso dell'umorismo veramente ragguardevoli. Maestro del ritmo melodrammatico, nemico delle lungaggini e dei ripensamenti, anche se non disse una parola nuova in fatto di musica, Wolf Ferrari fu certamente un compositore moderno nell'atteggiamento, di distaccata e divertita contemplazione dei personaggi, costruendo il suo stile musicale ispirandosi alla levità di Mozart e di Rossini
Per la prima volta a Verona, l’ultima opera del compositore veneziano si avvale della notevole direzione musicale di Francesco Ommassini che riesce, oltre a dirigere con precisione non indifferente l’ intricato amalgama contrappuntistico e corale di buca e palcoscenico, ad offrire una fresca e accurata lettura, sempre attentissima a non soverchiare il canto nel suo carattere discorsivo e colloquiale. Nel contempo Ommassini ne sa esaltare il ritmo e gli squarci lirici, assecondato da un’orchestra attenta e precisa in ogni settore, nitida, briosa, ricca di colori. La lettura ci è parsa magistrale, dove il recitativo naturale del dialetto veneziano, la levità mozartiana di molte pagine, le tenerezze melodiche di ispirazione pucciniana, la sottile ironia che pervade tutta la partitura, i raffinati intrecci polifonici e contrappuntistici, sono stati resi in maniera perfetta. Una lezione di garbo e di stile, che ha per così dire contagiato anche il team di regia diretto da Federico Bertolani (scene di Giulio Magnetto, costumi di Manuel Pedretti) che ci ha proposto sì la scena fissa del campiello veneziano, ma con uno sfondo che s'apre in particolari momenti dell’opera, dove appaiono in controscena altri gruppi di figure: Pantalone ed un gondoliere che accompagna Arlecchino e Colombina; quindi la bandiera della Serenissima, ammainata alla sua caduta; poi un vaporetto ottocentesco che trasporta due fidanzati; a seguire un vorticare di ballerini, e sgangherati suonatori in barcone. persino un tecnico che comanda le grandi barriere del Mose. Per finire, un gruppo di moderni turisti sbarcati da una gigantesca nave da crociera pronti ad invadere il campiello con i loro trolley, crea il coro conclusivo.
Insomma una velata critica alla situazione attuale che vede la città lagunare ormai ostaggio di turisti in bermuda, voraci fruitori di un turismo corrosivo. Nel complesso comunque nella regia di Bertolani, l'andamento dell'azione ha sempre un ritmo veloce e funzionale e non di rado nasconde sensibilissimi umori ed intelligenti risoluzioni dove, un gusto sottilmente umoristico domina le scene, creando atmosfere di preziosa ed insieme divertita suggestività.
Ottimamente coesa la compagnia di canto. Il baritono campano Biagio Pizzuti è stato un indimenticabile e da ora sicuramente referenziale interprete del Cavaliere Astolfi: timbro, fraseggio e dizione esemplari; vis comica sottile e raffinata, mai caricata di rozzo e superficiale gigionismo.
Le interpreti femminili (Bianca Tognocchi, Gasparina; Sara Cortolezzis, Lucieta; Lara Lagni, Gnese; Paola Gardina, Orsola) hanno agevolmente padroneggiato le aspre difficoltà del canto e della dizione e ben caratterizzato gli astuti personaggi sul piano teatrale.
Di notevole livello anche le prestazioni vocali e teatrali delle do “Vece” Dona Cate, Leonardo Cortellazzi e Dona Pasqua, Saverio Fiore, caricando il loro cotè femminile di maschia e ruvida autorità matronale, facendo divertire, e di molto. il pubblico ed il sottoscritto.
Piace constatare la crescita vocale di Matteo Roma nella non facile parte di Zorzeto dove al fianco di una linea vocale raffinata e spontanea, emerge finalmente una serenità espressiva anche sulla scena.
Veramente encomiabile l’Anzoleto di Gabriele Sagona, che conferma una volta di più a Verona le sue già ben note qualità vocali e attoriali.
Con la sua presenza scenica imponente, Guido Loconsolo ha saputo sopperire a qualche difficoltà vocale nella parte di Fabrizio.
Applausi convinti per tutti, hanno tributato un trionfo generale con numerose chiamate al proscenio.
Pierluigi Guadagni
PRODUZIONE ED INTERPRETI
DIRETTORE Francesco Omassini
REGIA Federico Bertolani
ASS.TE ALLA REGIA Barbara Pessina
SCENE Giulio Magnetto
COSTUMI Manuel Pedretti
LUCI Claudio Schmid
GASPARINA Bianca Tognocchi
DONA CATE PANCIANA Leonardo Cortellazzi
LUCIETA Sara Cortolezzis
DONA PASQUA POLEGANA Saverio Fiore
GNESE Lara Lagni
ORSOLA Paola Gardina
ZORZETO Matteo Roma
ANZOLETO Gabriele Sagona
IL CAVALIERE ASTOLFI Biagio Pizzuti
FABRIZIO DEI RITORTI Guido Loconsolo
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
FOTO ENNEVI
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